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Il 6 aprile del 1994 inizia quello che è stato definito uno dei più sanguinosi genocidi al mondo. Era quello del Ruanda e, vent’anni dopo, quasi nessuno ne parla più. Qualcuno, in realtà, non l’ha neanche mai sentito nominare. Come mai? Cos’ha di diverso dalla Shoah, giusto per citare quello più eclatante? Beh, innanzitutto, non c’è nessun giorno della memoria per il milione di Tutsi massacrati tra aprile e luglio 1994 (una media di 10.000 al giorno), nessun bombardamento mediatico strappalacrime in prima serata, al massimo la visione di Hotel Rwanda – film del 2004 di Terry George – da parte di qualche professore fuori dagli schemi al liceo. Del resto stiamo pur sempre parlando di Africa, quindi a noi italiani nuncenepòfregàdemeno. Basti pensare che la diatriba in corso era – ed è! – tra due diverse etnie, gli Hutu e i Tutsi, ed è facile trarre conclusioni affrettate: popoli incivili che non sanno gestirsi, falcidiati da guerre etniche. Sì, ma chi le ha create queste divisioni? Proprio noi europei, guarda un po’.

Un po’ di storia

Ruanda, per non dimenticare: vent’anni dopoIl Ruanda è composto da tre diverse etnie che condividono però tra loro lingua, cultura e tradizioni: gli Hutu, agricoltori, corrispondono a circa l’84% della popolazione; i Tutsi, il 15% del totale, sono aristocratici, proprietari di terre e bestiame; i Twa, un gruppo minore, sono pigmei cacciatori e artigiani. Le differenze erano soprattutto di carattere economico-sociale poiché i Tutsi erano i più ricchi rispetto agli altri due gruppi, ma non essendo una divisione definitiva chiunque poteva migliorare la propria posizione. Gli europei fecero l’errore di trasformare queste etnie in divisioni razziali, portando alla chiusura dei gruppi stessi.
In principio fu la Germania che occupò il territorio del Ruanda nei primi anni del Novecento, per poi perdere la colonia in seguito alla sconfitta durante la prima guerra mondiale: l’area passò quindi in mano al Belgio che instaurò una vera e propria separazione razziale. Ai Tutsi furono concessi i posti di supremazia, poiché a livello estetico più somiglianti agli europei, alimentando il risentimento della maggioranza Hutu. I rapporti si inasprirono a tal punto che nel 1961, alla vigilia dell’indipendenza, il Belgio appoggiò la vittoria degli Hutu al referendum contro la monarchia Tutsi, portando alla persecuzione di Tutsi e Hutu moderanti, i quali andarono in esilio nei paesi confinanti. Insieme, nel 1990, diedero vita in Uganda ad un’organizzazione paramilitare, il Fronte Patriottico Ruandese, con l’obiettivo di riportare i profughi in patria ma che portò alla guerra civile in Ruanda. Il Fronte attuò successivamente un colpo di stato – ovvero l’abbattimento dell’aereo su cui stava volando il presidente Habyarimana il 6 aprile 1994 – e i massacri iniziarono immediatamente, per cento giorni, capeggiati dai due gruppi Hutu, Interahamwe e Impuzamugambi, i maggiori responsabili dell’eccidio. Il 16 luglio il Fronte riuscì ad ottenere il potere dell’intero paese e, di conseguenza, partì il contrattacco: furono gli Hutu a dover scappare.

Un massacro prestabilito

Il genocidio ruandese fu pianificato dal governo: vennero massacrati Tutsi ma anche Hutu imparentati con Tutsi o appartenenti ad una fazione più moderata. In questa situazione di guerra civile, il motto era “seviziare ed uccidere gli scarafaggi Tutsi”. Il numero così elevato di morti portò ad avere fosse comuni enormi col sangue che bagnava i terreni circostanti. Il fatto eccezionale fu che non furono utilizzate bombe o mitra, bensì granate e fucili distribuiti dal governo stesso; dalla Cina furono acquistati invece migliaia di machete, molto più economici delle pistole.
Come distinguere i Tutsi dagli Hutu, per poterli uccidere? Semplice, attraverso l’obbligo di identificazione etnica sui documenti, in vigore già dal 1933 sotto il dominio belga: a livello fisico, quelli di pelle più chiara erano Tutsi e questo riconoscimento comportava spesso una loro riduzione in schiavitù e violenza sessuale nei confronti delle donne. Molti assassini rimasero impuniti, nonostante l’istituzione di un tribunale penale internazionale in Ruanda: alcuni ottennero protezione dai paesi occidentali, altri nei paesi africani vicini, scatenando probabilmente le successive guerre del Congo.

Questo articolo è stato scritto per non dimenticare. Non facciamo in modo che tragedie lontane ai nostri occhi e ai nostri interessi rimangano in silenzio. L’indifferenza da parte del resto del mondo fu alquanto imbarazzante all’epoca, e continua ad esserlo tutt’ora, relegando quello che fu un vero e proprio genocidio ad una “guerra etnica”. La memoria del Ruanda sembra seppellita assieme al suo milione di morti. Cadaveri di serie B.

Ruanda, per non dimenticare: vent’anni dopo

Foto di: Inisheer

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