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Ho sempre pensato che nella vita ci fossero poche certezze, ma incrollabili. Fra queste, il fatto che l’Italia fosse un Paese da cui fuggire senza guardarsi mai indietro.

Però, però, però. C’è sempre un però, e ci sono sempre le giornate no, quelle in cui la crisi dello studente fuori-confine che per tornare a casa non può mettersi improvvisamente su un treno, blocca le membra, mette in discussione i sogni, le ragioni per cui ci si è spinti così…oltre. Così altrove.

Sono i giorni in cui, insomma, si vedono i bicchieri mezzi vuoti (non solo perché te li sei scolati tutti la sera prima!)

Il punto non è che ti manca la mamma e il sugo di pomodoro, no. Ti manca l’arrotino della domenica mattina, le vecchie coinquiline con cui condividevi le stesse abitudini da anni, che il massimo dello scambio era un paio di calzini capitato per sbaglio nella lavatrice precedente, qui pro quo presto risolto nella stessa lingua – o in un dialetto che s’assomigliava a sufficienza. Nella pigrizia dell’osservare i lati negativi di un perenne confronto culturale, ho capito che la nostalgia provata non era di casa-casa, bensì di quella che lo era diventata, della stanza che aveva accolto il mio primo slancio d’indipendenza, e la mia carriera universitaria iniziale: insomma, mi mancava la mia prima città fuorisede, mi mancava Roma. Un posto dov’ero stata ingenuamente felice, assente da qualsiasi responsabilità se non quella di andare a lezione, dare gli esami, pagare la bolletta della luce (pur sempre un momentaccio) e pulire il bagno una volta alla settimana. Un posto che avevo fatto mio, da subito, e che avevo mollato per una lunga serie di motivi plausibilmente collegati all’asfissia di ogni megalopoli, anche quella più bella del mondo.

Quanto sei bella Roma (si nun ce vivo?)Come un angelo caduto dal cielo, si posò sul mio touchpad l’articolo provvidenziale dell’italo-americana Amanda Ruggeri, intitolato “50 signs that Rome is really home” ovvero “50 segni che rivelano che Roma sia davvero casa”. In seguito ad uno sconvolto “areyoukiddinme?” mi sono soffermata a leggere punto per punto quest’ottica alquanto straniera di una capitale che forse avevo ingiustamente bistrattato, come a farmi una verifica delle conoscenze e delle sensazioni per capire se quella che stavo vivendo era solo una crisi passeggera o l’avvisaglia di una rottura con il beneamato Estero. Ho deciso di tradurvene alcuni, per avviare una sessione di psicanalisi di gruppo, per raccogliere altri romani (doc ed acquisiti) volati via dalla capoccia der monno ‘nfame e capire se e cosa ci è rimasto di quella vita sui sampietrini, cosa non ci manca affatto, di cosa non potremmo ancora fare a meno, in cosa siamo diventati più stranieri degli stranieri stessi.

  • Impieghi interi pomeriggi per svolgere pratiche che ritenevi essere estremamente semplici: tipo spedire un pacco o farti le foto per il passaporto. Ogni tanto capita che ci metta solo 15 minuti, quando succede sei così sconvolto che sprechi le due ore seguenti a chiamare gli amici per raccontarglielo.
  • (L’assenza) del wi-fi è un grosso problema.
  • Dei resti archeologici e dell’arte rinascimentale, invece, non gliene frega niente a nessuno
  • Spesso ti capita di andare al tabacchi. Ma non fumi.
  • Bevi il caffè in shottini, in piedi, al bancone del bar
  • E il bar non è per gli alcolici, ma per il caffè. E il caffè non è un posto dove si beve il caffè, ma il caffè stesso. Il latte non è un caffè macchiato, ma soltanto latte. E un “caffè americano” non è un caffè lungo, ma un espresso con un po’ d’acqua dentro…ovvero un espresso, all’estero.
  • Sai che quando qualcuno ti chiama “bella” o “cara” è più che altro perché non si ricorda il tuo nome, non perché pensa che tu sia veramente bella o cara.
  • Nessuna telefonata è veramente conclusa senza che tu dica “Ciao…ciao ciao ciao ciao ciao ciao. Un bacione!”
  • Le tue commissioni devono svolgersi prima di mezzogiorno o dopo le quattro del pomeriggio.
  • Di norma, uno sciopero è qualcosa che viene annunciato con netto anticipo, generalmente pianificato di venerdì in maniera tale da avere un weekend di tre giorni, però ne dura uno solo, si mette in pausa durante l’ora di punta, e si applica a turno soltanto su alcune linee autobus e metro – che potrebbe essere una delle ragioni per cui gli scioperi avvengono così spesso.
  • Quando cammini per strada guardi dove metti i piedi per due motivi (stravaganti): le buche e la merda di cane.
  • I pini marittimi. Sono ovunque. (lacrimuccia) E ancora non hai capito come fanno a crescere in quel modo o se qualche gruppo di sconosciuti eroi venga fuori esclusivamente di notte per potarli tutti uno ad uno.
  • Ogni tanto avvertirai una profonda irritazione o un profondo apprezzamento verso l’abilità dell’Italia nel non rispettare le regole.
  • Quando senti il nome di un Santo non pensi al Santo, ma alla strada o al quartiere a cui qualcuno sta facendo riferimento.
  • Quando piove non esci di casa, anche se avevi degli appuntamenti. E dal momento che anche tutti i tuoi amici si barricheranno, non ti senti in colpa per questo.
  • Ti aspetti di essere in grado di arrivare ovunque col bus o col treno. Se ci arrivi.
  • Puoi chiamare il tuo alimentari aperto 24 su 24 il bangladeshi anche se il proprietario è greco. Se ti serve qualcosa di economico vai al cinese, che poi in realtà è gestito da coreani. Insomma, bando al politically-correct.
  • All’inizio, quando la gente ti picchiava sulla schiena per chiederti insistentemente “Scendi alla prossima?” ti infastidivi. Dopo tutto c’è un sacco di spazio intorno per permettergli di uscire facilmente. Quindi, perché? Poi inizi a farti da parte senza nemmeno pensarci. E adesso? Cominci anche tu a chiedere “Scende alla prossima?”
  • Passi l’intero inverno a toglierti e metterti i maglioni addosso anche se non esci di casa perché il riscaldamento è gestito dal condominio e non da te.
  • Il proprietario della lavanderia sa il tuo nome. E il macellaio, l’impiegato della banca, il calzolaio, il farmacista, il ragazzo del negozio di elettronica. Il pizzaiolo, il fruttivendolo, il proprietario dell’enoteca e della trattoria.
  • Ami Roma.
  • Odi Roma.
  • Conosci Roma…nel bene e nel male. Ti fa infuriare, ti incanta. Ed è un posto che, ad ogni modo, non potrai mai dimenticare.

Perché poi mi chiedo, sarà davvero l’efficienza perfetta dell’estero (e in particolare del Nord Europa) tutto quello di cui abbiamo bisogno, per essere felici, ciò che soddisfa l’esistenza di un essere nato e cresciuto nel caos? Ne parleremo la prossima settimana!


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