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Ognuno di noi crescendo ha la tendenza a mitizzare qualcuno o qualcosa: il calciatore del momento, l’attrice, la modella, il bomber di turno o, almeno nel mio caso, una città; poi però non si sa davvero come stanno le cose, se è reale o meno quello che si conosce, e ci resta la curiosità. E così nasce, apparentemente dal nulla, la nostalgia per la Milano degli anni’80, si ha la malinconia di una vita che si avrebbe voluto vivere e il dispiacere di aver perso quegli anni di entusiasmo così dilagante, che forse non potranno più esserci. Dico apparentemente perché in un momento di crisi come il nostro, non si può fare a meno di andare a cercare le origini delle situazioni che hanno portato a tutto questo, fino ad arrivare a scoprire che tutto quello che per noi ora è così banale e scontato, solo una trentina d’anni fa era completamente nuovo, e di conseguenza estremamente bello e affascinante.
Questo decennio è una sorta di spartiacque per la modernità, si vuole reagire con tutte le forze agli anni ’70, i cosiddetti anni di piombo, in cui Milano si era caratterizzata per il suo grigiore, per il terrorismo, con la strage di piazza Fontana del 1969, e per la malavita organizzata. La futilità, la moda, l’euforia e l’ottimismo di questi anni definiti “di plastica”, volevano essere la liberazione da questo orrore.

La Milano da bere

In questo periodo nasce la cosiddetta “Milano da bere”, espressione coniata per lo spot dell’amaro Ramazzotti, subito amata da tutti i milanesi, che ne fanno la loro bandiera. Gli anni di plastica sono gli anni dell’aperitivo: la vita è estremamente frenetica, non c’è tempo di tornare a casa o di passare l’intera serata in un ristorante, si comincia a bere e a spizzicare al tramonto e poi la movida va avanti fino alle prime luci del mattino.
Questi sono gli anni dei locali come il Nephenta, il Santa Tecla, ma specialmente del Vogue Club, la discoteca che per prima ha lanciato quella parvenza di esclusività che caratterizza i locali più “cool”; da lì passavano tutti quelli che contavano, era un paradiso artificiale accessibile solo a coloro considerati VIP. In questi luoghi di perdizione lavoro e divertimento si combinavano dando vita a un mix sorprendentemente efficiente: uomini in giacca e cravatta, politici, imprenditori e modelle si riunivano tutti insieme e si mescolavano fra i componenti dei varie settori che resero Milano la capitale del boom di questi anni.

Il mito della Milano degli anni ‘80

Milano come New York: moda e finanza

La moda, nuovi personaggi come Giorgio Armani e più in generale tutto il made in Italy cominciano ad affermarsi a livello mondiale, e fanno di Milano la propria sede; due volte all’anno, in occasione della settimana della moda, la città diventa un vero e proprio centro internazionale, rubando persino la scena a Parigi, e si riempie di eventi, cocktail party, personaggi famosi, modelle e dei cosiddetti “modellari”: ragazzi di buona famiglia con una buona disponibilità economica e contatti con le agenzie di modelle. In questi anni inoltre Milano passa dall’essere città operaia a città di servizi, dalle grandi fabbriche alla Borsa, che vive un periodo di grande benessere e produce un’euforia generale per cui tutti vogliono guadagnare investendo con operazioni finanziarie spericolate, che fanno credere che tutto sia possibile e alla portata di tutti.

I nuovi protagonisti di questa era

Nell’agosto del 1983 il socialista milanese Bettino Craxi sale al governo, e Milano sente di aver avuto la sua rivalsa su Roma; il nuovo Presidente del Consiglio si propone di rimettere in sesto il Bel paese e lo fa adottando una politica economica per cui l’inflazione calò notevolmente, aumentarono i salari e l’Italia si affermò come quinto paese industriale avanzato del mondo; nel fare ciò però aumento drasticamente il debito pubblico, che non diminuì per tutti i decenni successivi. L’anno seguente emana un altro decreto che farà parlare parecchio, con il quale fa rimuovere l’oscuramento dei canali televisivi del Berlusconi, mentre prima di allora si impediva ai canali privati di trasmettere su scala nazionale. Prima di ciò Silvio Berlusconi era conosciuto solo come imprenditore edile, che ci aveva visto lungo e aveva tentato di immettersi nel mercato televisivo, da questo momento invece lo conquista ingaggiando talenti e personaggi televisivi come Loretta Goggi e Mike Bongiorno.

Ma ciò che più di tutti rese famosa questa emittente fu Drive-in, programma prodotto da Antonio Ricci che in maniera estremamente satirica e comica voleva criticare i costumi dell’epoca, ma che sembrava più che altro elogiarli.
Questo, i quiz televisivi, i primi talkshow e programmi di intrattenimento inaugurano uno dei momenti più potenti della comunicazione, ossia l’era del trash, che continuerà poi fino ai giorni nostri e si espanderà a tutti gli ambiti della comunicazione, in cui il principio fondamentale è che se si vuole portare lontano un qualsiasi tipo di messaggio, bisogna ridurlo ai minimi termini e renderlo il più parodistico possibile.

Il mito della Milano degli anni ‘80

I nuovi giovani

In questa Milano cosmopolita cambia anche il modo di essere giovani, si sviluppano infatti nuove mode, che non riguardano più solo l’abbigliamento, ma anche il modo di vedere la vita e che portano ad aggregarsi in gruppi completamente opposti, tra questi quelli più significativi di questi anni ci sono gli Yuppies e i Paninari.
Yuppie è la forma breve di Young Urban Professional: sono i nuovi giovani professionisti metropolitani, si mostravano sempre molto sicuri di sé, ostentavano non solo la loro apparente ricchezza, ma anche il loro alto livello di istruzione, con il quale miravano a fare carriere, ad arricchirsi, ad emergere. Alitalia era il fiore all’occhiello del nuovo paese e lo yuppie che si rispetti volava per viaggiare in mete esotiche e lontane come i Caraibi, per poi raccontare tutta la sua esperienza in un ristorante di cucina internazionale di alto livello. Carlo Vanzina farà anche un film su di loro, ingaggiando i giovani Boldi, De Sica e Calà per il film “Yuppies”, che si può definire il prequel di tutti i successivi “Vacanze di Natale a…”.
I Paninari invece sono i fratellini minori degli yuppies, vanno ancora al liceo, rigorosamente privato, hanno come luoghi di ritrovo i fast-food, recentemente importati dagli USA, si vestono tutti con capi costosi e di provenienza prevalentemente statunitense, i cui pezzi forti sono il piumino di Moncler e le Timberland, sono i tra i primi ad introdurre i jeans “all’acqua in casa”, ossia arrotolati fin sopra alla caviglia, col calzettone colorato ben in vista. Amano andare in giro in moto e hanno una spiccata vocazione a disinteressarsi a tutto quello che è impegnativo, sia esso politico o filosofico. Tutto questo era accompagnato da uno slang tutto loro, in cui, ad esempio, i “galli” erano i ragazzi, le “squinzie” o “sfitinzie” le ragazze, e i “sapiens” i genitori.
In tutto ciò si capisce quanto fosse importante in questi anni l’apparire, il look e di conseguenza la moda, ma non solo.
In questi anni si importa, sempre dagli USA, il culto del body building, del fitness e della modificazione del proprio corpo; sorgono in questi anni infatti le prime palestre, che diventano punti di ritrovo e luoghi in cui emulare i nuovi modelli corporei: filiformi, eleganti e flessuosi per le donne, e grossi e muscolosi per gli uomini.

Si stava meglio quando si stava peggio?

Al giorno d’oggi stiamo pagando noi tutte le conseguenze del loro “yuppismo” esagerato? Forse sì. Si stava meglio all’epoca e bisognerebbe avere quell’entusiasmo e spensieratezza anche ai giorni nostri? Forse è vero anche questo, però ora come ora per noi giovani il futuro non sembra così roseo come lo poteva sembrare allora. All’epoca si cresceva credendo che una buona istruzione e tanta forza di volontà ti avrebbero sicuramente portato ad essere qualcuno, ora invece una laurea e tanto impegno sono quasi le richieste minime per poter trovare un impiego.

Il mito della Milano degli anni ‘80


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