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“Bisogna andare, andare, partire!!!” recitava Muccino in un film di un sacco di anni fa, cercando di incitare i suoi amici a intraprendere un viaggio in Grecia. Eh sì, partire ormai capita sempre più spesso, un po’ i voli low cost, un po’ la carenza di prospettive lavorative nel nostro bel paese, un po’ il network di istituzioni, università, associazioni che propongono sempre più spesso attività di volontariato internazionale, scambi giovanili, Erasmus. Io ho 25 anni, e ho sempre amato viaggiare. All’inizio ero un po’ turbata da questo fatto, e ho perso un sacco di ore e scritto un sacco di pagine cercando di capire perché avessi questa molla per il fuori. Visto che non l’ho mai capito me ne sono fatta una ragione, e negli anni passati ho fatto due delle esperienze più formidabili e emozionanti della mia vita: un Erasmus di 10 mesi a Lisbona, e uno stage di 3 mesi a Rio de Janeiro. Non mi soffermerò adesso su quanto fosse buona la caipirinha in Portogallo né su come fosse figo ballare Samba per strada tutte le sere, il punto è che per me il vero trauma non è stata la partenza (“o mio dio lascio tutti i miei amici la mia famiglia il cane chissà quante cose mi perdo cosa troverò laggiù e se poi va male?”), ma piuttosto, IL RITORNO (“dove sono?”).

Depressione post Erasmus

Ho scelto di scrivere di questo perché so’ che molti si sono sentiti nel mio stesso modo – ci sono blog, articoli, giornali in tutte le lingue che parlano dell’ormai conosciutissima sindrome di depressione post Erasmus -, e perché magari qualcuno di voi proprio in questo momento sta ragionando di accettare o meno una proposta di lavoro/stage/fidanzamento all’estero, e quello che vorrei dirvi è ACCETTATE, non abbiate paura di partire: abbiamo rimorsi per le cose che non abbiamo fatto , piuttosto che per quelle che abbiamo fatto. Fate la valigia, tanto il peggio viene dopo.
E’ quello che molto studiosi chiamano shock culturale inverso, tecnicamente, la fase di riadattamento alla nostra cultura di appartenenza una volta completato l’adattamento alla cultura straniera – ovvero, ladies and gentlemen, IL RITORNO. Due signori che si chiamano Schneider e Barsoux hanno illustrato con un grafico molto chiaro questo processo, e vorrei riproporvelo qui:

Depressione post-Erasmus: se esiste davvero non siete soli!

Soffermiamoci giusto sul momento del rientro nella nostra cultura di origine; il punto 7 riassume perfettamente quello che si intende con shock culturale inverso: ci si sente spaesati perché sembra che nessuno possa capire cosa abbiamo provato e in che modo siamo cambiati, quale sia il valore di tutte le nuove esperienze che abbiamo vissuto e perché andiamo in giro con tre litri di vodka nello zaino. Tranquilli, ragazzi, è tutto normale. La mia personale conclusione è che non importa che lo capiscano, si può e si deve parlare di quello che è successo mentre eravamo fuori, ma non aspettarsi che tutti siano interessati e entusiasti quanto lo siamo noi. Io quando sono tornata da Lisbona credo di aver pianto un oceano, mandato mail e messaggi a tutti i miei amichetti conosciuti là pregandoli di non scordarsi di me, pianificato un ritorno in Portogallo più o meno ogni giorno. E’ stato parecchio difficile spiegare il motivo di quella profonda disperazione senza sembrare stronzi o irriconoscenti verso gli amici e la famiglia che mi aspettavano a casa, ma mi sono fatta forza vedendo che i ragazzi tornati con me o poco dopo non se la passavano affatto meglio. Devo ammettere che tutt’ora riesco solo con difficoltà a ascoltare Fado o a leggere notizie riguardanti quelle parti del mondo dove ho lasciato un po’ del mio cuoricino.

Qui una mia personale rivisitazione del grafico sopra, riferito al rientro dal mio Erasmus portoghese, e dove sono impersonata da Jim Carrey perché ha un’espressività eccezionale.

Depressione post-Erasmus: se esiste davvero non siete soli!

Ok, senza esagerare… Col tempo ho capito che forse non si può vivere in Erasmus per tutta la vita, e che probabilmente queste esperienze sono state così incredibili proprio perché avevano una durata finita, quindi mi sono trovata a dare il massimo per un periodo che sapevo sarebbe durato pochi mesi. Ho capito anche che se tornassi in questo fuori immaginario che ormai vive solo nella mia mente, niente sarebbe come prima, perché i posti cambiano e le persone si spostano. E ho anche capito che avere un equilibrio vuol dire affrontare con eleganza i ritorni e non farsi distruggere emotivamente dalla saudade, quindi sono arrivata alla conclusione di essere proprio equilibrata. Alla fine però ho trovato una specie di lato positivo in tutta questa faccenda della crisi da ritorno: chi ne soffre così tanto probabilmente ha più facilità a adattarsi ai posti che vive, si innamora del diverso, riesce, insomma, a sentirsi a casa ovunque appenda il cappello.

Quindi dovremmo dare retta al caro vecchio Silvione Muccino, e andare, andare, partire, perché l’adrenalina che sentiamo vivendo all’estero non ce la dimenticheremo mai più, mentre il disagio da rientro si riassorbe dopo qualche… anno, e comunque rimane un ottimo esercizio per mettersi alla prova, conoscersi meglio e conoscere meglio gli altri. Quindi coraggio, sappiate, cari amici scioccati dai rientri, che non siete soli, che quello che si sente è perfettamente normale e spiegato più o meno scientificamente, e che presto passerà tutto. Grazie ad un altro viaggio, magari.

Foto di: Camdiluv

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