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Capigliatura bionda volutamente spettinata, occhi verdi dietro un occhiale rotondo dal sapore vintage, maglietta nera, semplice a parte la stampa a tutto petto di un logo tanto delicato quanto ricercato. Mezzobusto dietro un bancone. Si muove dietro il bancone del pub, che gestisce da alcuni mesi, non solo con una decisa scioltezza, ma anche e soprattutto con un visibile orgoglio e soddisfazione per ciò che fa. Non serve la gente, ma ci chiacchiera e mentre prepara una birra, te ne descrive il gusto così dettagliatamente e con termini tanto giusti che già riesci a sentire il sapore in bocca. Con il suo tono sottile che quasi non lo senti, ma che rapisce l’attenzione perché sei costretto a prestargli l’orecchio, ti racconterà di qualche storia, qualche chicca sulla musica con cui lui stesso ha scelto di rompere il silenzio nel locale e ti starà anche ad ascoltare. Lui è Davide, trentenne siciliano sbarcato a Roma come tanti appena dopo la maturità per intraprendere gli studi universitari e invece…

L’intervista

Pensavo fosse un’aula, invece era un pub. “Dovevo ancora pagare le tasse d’iscrizione all’università, in realtà, quando tramite un giro di amici iniziai a fare il pr per una discoteca al Testaccio. Mi pagavano anche parecchio bene e, dopo poche settimane, sono finito dietro il bancone dello stesso locale. Mi piaceva lavorare lì, perché comunque amo fare qualsiasi intruglio in cucina. Così sono rimasto e poi da lì ho cambiato vari, ma pochi locali e di volta in volta era quasi sempre come un avanzamento di carriera tanto che adesso, questo, lo gestisco quasi tutto da solo”.

Un banconista tra la gente. Anche senza occhi per vedere, si percepisce che Davide si muove a suo agio in quel contesto, come se fosse il suo habitat naturale, ma quasi per conferma gli chiedo “e ti piace?”. Chiaramente sì. “Sì, perché a me di fatto piace stare con la gente, in mezzo alla gente. Se ci pensi bene, è in posti come questi che hai veramente l’opportunità reale di conoscere un sacco di persone. Tra clienti abituali di cui conosci ormai tutta la storia e che, quindi, ti raccontano anche specifici episodi della loro giornata e gente che passa e ti sorride, ti chiede una canzone, una birra dolce o un vino frizzante, vai a casa con uno spaccato di mondo che neanche avessi viaggiato per settimane”.

“E l’università?” chiedo io, forse poco incline ai repentini cambi di programma, soprattutto se riguardano tutta una vita. “E l’università è andata! Alla fine, qui sto bene. Mi pagano bene e mi hanno sempre pagato bene. Chi me lo faceva fare di sprecare minimo cinque anni a studiare senza avere una lira in tasca”, risponde l’orgoglioso Davide che, però, fa spallucce.

Nostalgia, nostalgia canaglia. È qui, infatti, che scorgo quella manciata di nostalgia, di pentimento da parte di una persona che l’ha palesemente data vinta ai soldi. Davide sarà pure sereno dietro il bancone del “suo” pub, ma è una persona così curiosa e desiderosa di sapere, di conoscere, di apprendere e scoprire che non avrebbe potuto che apprezzare quei cinque anni sui libri, che poi sarebbero stati anche cinque anni nelle aule, nei corridoi, a ricevimento e per le strade con una moltitudine di persone almeno pari a quella che passa tutte le sere dal suo locale.

Morale della storia. È vero che la cultura non viene dal titolo, ma piuttosto la si incrementa giorno per giorno in mille modi diversi. E Davide di cultura ne ha, di soldi pure, ma il titolo no e Davide lo avrebbe voluto.

Foto di: Colonel Warden

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