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11 Marzo 2011, ore 14.46 (ora locale). In quell’istante di tre anni fa si è consumata la tragedia più grave per il popolo giapponese dalla Seconda Guerra Mondiale. Un terremoto del nono grado della scala Richter scatenava una devastante onda di tsunami che investiva le coste orientali dell’arcipelago. Altissimo è stato il prezzo del disastro: in primo luogo, in termini di vite umane – 15.884 morti e 2.636 dispersi – in secondo luogo, i termini economici – 309 miliardi di dollari. Ma gli effetti della catastrofe, già terrificanti, erano destinati ad aggravarsi. Lo tsunami, infatti, aveva gravemente ed irreparabilmente danneggiato tre reattori della centrale nucleare di Fukushima-Daiichi, innescando quello che ad oggi è il più grave incidente nucleare dopo Chernobyl.

Sospesi nel tempo. La “No-Go Zone”

Esistenze sospese. Sono quelle delle 100.000 persone, soprattutto anziani, costretti ancora a vivere nelle abitazioni temporanee prefabbricate. Esistenze interrotte, come quelle delle 270.000 persone che sono state costrette ad abbandonare le loro case, perché incluse nella “No-Go Zone”, che si estende fino a 20 km dall’impianto nucleare, una zona che probabilmente non potrà più essere abitabile per svariati anni a causa del pericolo di contaminazione.

I divieti delle autorità, peraltro, non hanno scoraggiato le incursioni di alcuni reporter, desiderosi di raccontare la vicenda andando oltre le reticenze e le omissioni del governo e della Tepco, la compagnia che si occupa della gestione della centrale nucleare di Fukushima. Uno di questi, il fotografo friulano Pierpaolo Mittica, ha magistralmente raccontato, attraverso i suoi scatti in bianco e nero, la realtà spettrale della “No-Go Zone”, una realtà tristemente simile, visivamente ed emotivamente, a quella degli edifici abbandonati di Chernobyl. E i divieti non hanno impedito ad alcuni abitanti di mettere a rischio la propria salute pur di recuperare qualcosa delle proprie vite perdute, un oggetto, una foto, un ricordo. Oppure, nel caso più eclatante, quello di Naoto Matsumura, l’“ultimo uomo di Fukushima”, di restare per prestare cure e conforto ai numerosissimi animali – soprattutto mucche e cani – che i residenti sono stati costretti ad abbandonare al loro destino.

Tre anni dopo Fukushima, una riflessione sull'informazione e sul nucleare

Propaganda e informazione. Quale futuro per il Giappone?

Prima dell’incidente, il Giappone copriva il 30% del suo fabbisogno energetico grazie alla sua cinquantina di impianti sparsi per tutto il territorio, e la maggior parte della popolazione era favorevole allo sfruttamento dell’energia nucleare. Per arrivare a convincere della bontà e della sicurezza dell’energia nucleare un popolo che aveva subito le conseguenze di due esplosioni atomiche, i governi giapponesi, fin dagli anni ’50, hanno approntato una massiccia opera di propaganda, persino fra i bambini delle scuole primarie.

A pochi giorni dalla tragedia, si sono susseguite alcune iniziative discutibili per rassicurare i cittadini giapponesi riguardo i rischi per la loro salute. Celebre un episodio che ha coinvolto un famoso presentatore televisivo, Otzuka Norikazu, il quale ha consumato verdure e pasta di riso provenienti dalla zona contaminata per dimostrarne la non pericolosità – salvo poi vedersi diagnosticata una leucemia fulminante poco tempo dopo.

Secondo i sondaggi realizzati a seguito dell’incidente di Fukushima, oggi una parte consistente dell’opinione pubblica giapponese vorrebbe che si andasse verso un progressivo, se non immediato, abbandono dell’atomo in favore di fonti di energia alternative. È quanto hanno chiesto le centinaia di persone che si sono riunite per l’anniversario della tragedia nel parco di Hibiya, a Tokyo, e che hanno marciato fino alla sede del Parlamento per chiedere un’immediata cessazione delle attività in tutti gli impianti. Un’idea però che sembra andare in rotta contraria con le aspirazioni del governo conservatore di Shinzo Abe, che punterebbe invece ad una messa in sicurezza degli impianti esistenti e ad un rilancio dell’energia nucleare. Un governo le cui scelte, così come quelle del governo precedente, sulla gestione della crisi di Fukushima stanno suscitando polemiche e dibattiti sempre più accesi: è infatti fortemente criticata da parte degli amministratori delle zone colpite dal maremoto la decisione del governo di dirottare gran parte dei fondi statali sull’organizzazione delle prossime Olimpiadi del 2020 anziché sulla ricostruzione. Nel frattempo non è ancora stata iniziata una qualsiasi opera di bonifica dell’area contaminata, a causa di un continuo rimpallo di responsabilità fra la Tepco e il governo, un’opera che comunque non potrà dirsi completa, secondo le stime più recenti, prima di 30-40 anni. La compagnia inoltre deve anche misurarsi con le recenti proteste dei suoi lavoratori, che denunciano condizioni di sicurezza inaccettabili e paghe inadeguate a fronte dei rischi dell’esposizione quotidiana alle radiazioni.

Intanto vengono resi noti i primi dati, seppure parziali, sugli effetti delle radiazioni negli abitanti di Fukushima, da cui emerge un incremento di tumori alla tiroide soprattutto nei bambini e nei ragazzi sotto i 18 anni.

Una quadro piuttosto desolante, che dimostra quanto, persino in un Paese considerato all’avanguardia come il Giappone, si sia ben lontani da una gestione trasparente e responsabile di una fonte di energia il cui potenziale distruttivo è troppo spesso minimizzato o sottovalutato dai suoi più irremovibili propugnatori.

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Foto di: Pierpaolo Mittica

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